Ho
scoperto il Mulino di Alpe di Vobbia quasi per caso, scorgendo la sua ruota dal
Passo dell’ Incisa. Quello che mi ha colpito è stato che, a differenza di altre
strutture di questo tipo, la copertura era quasi integra, segno che anche la
conservazione dell’ interno poteva essere in buone condizioni.
E’
partita allora la ricerca storica e cartografica. La prima con scarsissimi
risultati, mentre la seconda, grazie alla consultazione delle mappe catastali
di impianto, le cosiddette “canapine”, mi ha permesso di individuare il
fabbricato, identificato con il toponimo “Mulino d’ Alpe”.
Dalle
carte consultate, tra le quali la C.T.R. in scala 1:5000, si individuavano due
accessi principali: uno da Alpe di Vobbia ed un altro dalla strada che una
volta raggiungeva il paese di Costa Clavarezza.
Ho
fatto alcuni tentativi da Alpe di Vobbia, frazione collegata un tempo con una
mulattiera con la frazione di Costa Clavarezza, che passava a lato del mulino;
purtroppo, come spesso accade, queste vecchie mulattiere non sono più
rintracciabili se non per brevissimi tratti.
Allora
ho provato un'altra strada: raggiungere il mulino dal basso, seguendo quello
che rimane della strada carrabile che da Vobbia raggiunge Costa di Clavarezza,
oggi franata in alcuni punti a seguito dell’ alluvione del 2000.
Il
percorso risale il Torrente Fabio in sponda destra, fino alla quota di 584,00
dove si incontra il ponte che lo attraversa. Da questo punto in poi si segue la
strada che sale a Costa di Clavarezza fino al primo tornante, per seguire
quindi il sentiero che risale il torrente Fabio in sponda sinistra.
Il
sentiero attraversa un bosco di castagni secolari e risulta evidente delimitato
per alcuni tratti da muri a secco, fino a raggiungere una radura a quota
635,00. Da questo punto in poi è necessario scendere sul greto del torrente
Fabio e risalire dalla sponda opposta, in corrispondenza del rio Acqua Fredda,
affluente del torrente Fabio. Si riprende quindi il sentiero che conduce in
breve al pianoro a quota 694,00 dove sorge il mulino.
Il Mulino
Il mulino è disposto su tre piani: al piano terra c’ è
la stanza dove sono alloggiati i
meccanismi e le macine. La zona risulta sopraelevata di circa un metro rispetto
al terreno circostante ed è accessibile mediante alcuni scalini in pietra. Le
macine sono poste superiormente agli ingranaggi ed accessibili tramite un
piccola porticina laterale da dove il mugnaio alimentava le tramogge poste
sopra le macine.
A lato del mulino un'altra stanza destinata a cantina, mentre al piano
superiore era posizionata l’ abitazione del mugnaio; evidenti ancora i resti di
un vecchio forno con volta in pietra, impiegato probabilmente per la cottura
del pane. Sempre al piano della cucina c'era anche un "abergo" ovvero un vano per la
seccatura delle castagne.
Per il bestiame ed il fieno erano presenti due cascine a monte del mulino,
mentre il terreno circostante era coltivato con alberi di frutta e perfino un
vigneto.
Rispetto ad altri mulini della zona, il Mulino d’ Alpe
ha una caratteristica che lo contraddistingue dagli altri: era alimentato da
una grossa vasca, posta a monte del fabbricato, che con un beudo, captava l’
acqua dal rio dei Cugni.
Evidentemente la sua posizione orografica nella parte
alta della valle del rio Fabio, non assicurava la necessaria quantità di acqua
anche durante i periodi di maggiore siccità e quindi la necessita di avere
questa grossa vasca di accumulo.
Dalla vasca di accumulo semi interrata delle
dimensioni di circa 12 x 5 mt., l’ acqua veniva convogliata al mulino con una
condotta oggi scomparsa, probabilmente costituita da tubi in ferro.
Dalle ricerche eseguite sulla cartografia, soprattutto
catastale, il mulino era collegato sia con Alpe di Vobbia che con il paese di
Costa di Clavarezza tramite “strada comunale”.
Come funzionava
Il Mulino d’ Alpe era, come detto, alimentato da un
condotta che convogliava l’ acqua dalla vasca di accumulo alla ruota esterna
costituita da una parte centrale in ferro, raggi in legno ed una parte esterna
realizzata sempre in ferro imbullonato dove veniva convogliata l’ acqua che a
caduta imprimeva il movimento rotatorio.
Girando, la ruota trasmetteva il movimento ad un’
altra ruota dentata in ferro posta all’ interno del mulino, che faceva girare
un asse orizzontale sul quale erano fissate due ruote verticali in ferro con
denti in legno.
Il movimento delle ruote dentate era trasmesso a due
alberi a cammi montati su di un asse verticale, che trasformava il movimento da
orizzontale a verticale facendo ruotare il palmento mobile, formato da una
macina fissa – quella inferiore – e da una mobile che ruotava grazie al
meccanismo appena descritto.
I volantini che si vedono nelle foto, uno per ciascuna
macina, servivano per regolare lo spessore del prodotto da macinare (grano,
castagne ecc.), che veniva inserito in un foro centrale (bocca) attraverso una
tramoggia a forma di cono trapezoidale rovesciato.
Quando il palmento mobile si appoggiava su quello
fisso e si metteva in moto, si otteneva lo sgretolamento del prodotto, che una
volta macinato, scendeva attraverso le scanalature, ancora visibili,
cadendo all'interno di appositi cassoni in legno, alcuni dei quali ancora
presenti all’ interno del mulino.
L’ avere due macine aveva una duplice valenza: potere macinare il doppio
del prodotto, ma più verosimilmente, macinare contemporaneamente due prodotti
diversi. Nel nostro caso una era destinata esclusivamente al grano, l'altra
serviva per ogni altro prodotto, specialmente mais e castagne.
Si può ancora notare, alle spalle delle macine, la
struttura in ferro che serviva per sollevare la loro parte superiore per le
operazioni di sostituzione in funzione del grado di macinatura richiesto.
© Paolo De Lorenzi – aprile 2012